PAOLO ROJATTI
5 corti 8mm

> scheda tecnica

La raccolta delle patate (primi anni '60, 8')
Delitto in pineta (1966, 3'50'')
Natura con neve – La primavera (anni '60, 7')
Maschera (1967, 2')
L'attesa (1968, 20')

Riversamento in digitale da originali in pellicola a cura di Mirco Santi (Home Movies),
realizzato presso il laboratorio La Camera Ottica – film and video restoration (Università degli Studi di Udine – DAMS Cinema Gorizia).



Questi film in 8mm di Paolo Rojatti, anch'essi risalenti agli anni '60 come l'ormai celebre L'uomo di Stregna (1963), possono essere considerati come una sorta di “bozzetti”, che anticipano e seguono cronologicamente la grande prova del film di maggiore impegno.
Definire questi corti “bozzetti” non significa sminuirne il valore, anzi: spesso succede che proprio gli appunti di un autore rivelino momenti di particolare riuscita e intensità, che sfuggono ai vincoli di un progetto più meditato.
Anche nel caso di questi film, comunque, a fianco dello sguardo documentario scorgiamo in filigrana sempre un'intenzione narrativa, una traccia di racconto sceneggiato più o meno palese, che spesso aderisce alla realtà di ciò che accade davanti alla cinepresa fino al punto di non essere distinguibile da essa, confondendo mirabilmente i piani della fiction e della non-fiction. Le persone che vi compaiono (più volte è protagonista la moglie dell'autore, Rosanna) “recitano” se stesse e la propria vita quotidiana, come accadeva già con Genio, il protagonista de L'uomo di Stregna.
Va comunque ricordato che sia L'uomo di Stregna, riedito nel 2006, che questi corti, presentati nel 2009, sono proposti nelle nuove versioni rimontate a cura di Alvaro Petricig.
La durata dei film è diseguale: si va dai due minuti di Maschera, un curioso esperimento di “videoarte” ante-litteram, influenzato – verrebbe da supporre – dalla cultura pop e psichedelica di quegli anni e che nulla concede alla tradizione e al folclore carnevalesco delle Valli del Natisone (un consapevole recupero della tradizione è avvenuto in tempi più recenti) ai 20 minuti di L'attesa, forse il film più importante della serie, e non solo per la sua maggior durata.
 


In esso l'autore segue la propria moglie incinta della prima figlia, fino alla nascita della bambina. L'attesa consiste infatti nel pedinamento della moglie, in senso letterale, durante le faccende domestiche e lungo le svagate passeggiate cittadine a Udine e nelle Valli del Natisone. Percorsi e gesti consueti, come mangiare un gelato o leggere un libro, vengono trasfigurati da soluzioni visive particolarmente efficaci che confermano la padronanza del linguaggio cinematografico già rivelate da Rojatti ne L'uomo di Stregna: attraverso esse si disvela l'intento di costruire un racconto compiuto e una esaltata, commossa partecipazione all'evento imminente.
Altro aspetto interessante di questo cortometraggio, è la punteggiatura di “segni” che sembrano fatti apposta per confermarci nel nostro immaginario: le suppellettili, l'abbigliamento, le vetrine, i colori, che paiono coincidere perfettamente con la tonalità cromatica e la temperatura emotiva che per esperienza o convenzione attribuiamo agli anni '60. A tratti, soprattutto nella parte ambientata nelle Valli del Natisone, vi affiora anche (inconsapevolmente?) l'estetica demodè, che allora era in voga, di certe cartoline sfacciatamente sentimentali.
Ne L'attesa, lo smaliziato uso delle potenzialità del mezzo e naivetè colma di poesia convivono in efficace simbiosi.




Con i quasi 10 minuti de La raccolta delle patate torniamo nelle Valli del Natisone e al bianco e nero. Ci troviamo di nuovo immersi in una dimensione rurale, con un'attenzione discreta ai lavori dei campi e alla vita nel paese. Il film inizia con una concitata partita a pallone dal montaggio sconnesso e frenetico degno della miglior Nouvelle Vague, per introdurre una micro vicenda – l'esclusione di un bambino dai giochi da parte dei suoi compagni – tratteggiata con pochi tocchi classici che ci immergono in una dimensione anacronistica, quasi spiazzante. A questo quadretto sceneggiato, segue la parte relativa al lavoro nei campi che dà il titolo al film: anche qui, come ne L'uomo di Stregna (compare anche Genio, e l'effetto è quello di una guest star), è l'epica anti-eroica di una comunità contadina ad emergere nell'evidenza semplice e solenne dei gesti del lavoro. Interessantissime le divagazioni dell'autore, che a volte sembra dimenticare lo svolgersi degli eventi per incantarsi davanti ai rami di una betulla mossi dal vento o al muso di un cavallo che si volge verso la cinepresa.
Di carattere fortemente impressionistico Natura con neve – La primavera (la datazione del film è incerta): qui siamo di fronte all'osservazione della natura e del paesaggio, al loro mutare nel ciclo delle stagioni. Poche le presenze umane, in questo film in due parti, la prima in bianco e nero, la seconda a colori, poco più che comparse nello spettacolo del tempo che trascorre. L'insistenza sulle immagini di foglie autunnali scosse dal vento, trasportate al suolo, affogate nelle pozzanghere o ancora attaccate con un ultimo fremito al ramo, sembra voler alludere alla fragilità di tutte le cose. Un tempo che si fa domestico e quasi sereno nelle immagini dei graticci d'uva imbiancati dalla neve e irrorati dal sole invernale ma che, per paradosso, sembra richiudersi nella cupezza delle immagini primaverili (a colori), nel gravare delle nubi su alberi morti, nella desolazione del paese investito dalla pioggia, fino al finale repentino e rivelatore come un colpo di scena.
In Delitto in pineta (1966), infine, emerge il carattere ludico, di divertissement d'autore. Si tratta di un brevissimo thriller (3 minuti e mezzo, la durata di una bobina) girato al santuario di Castelmonte, si direbbe con spirito goliardico: un pazzo o forse un marito geloso che uccide la moglie fedifraga mentre passeggia in una pineta. Il breve film ci appare come una parodia hitchcokiana, dove l'atto criminale è talmente esasperato nella gestualità e rallentato nel suo accadere da risultarne la sua messa in scena caricaturale – una stilizzazione un po' grottesca – pur nel rispetto di una scansione drammatica che potremmo definire da manuale (l'alternarsi di primissimi piani con la lama del coltello in controluce o l'occhio dell'assassino, e delle concitate scene del tentativo di fuga, invero assai poco credibili).
 

Giuliano Nanarimba

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